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La festa della Bruna tra aspetti devozionali e patrimonializzazione di Ferdinando Mirizzi

La festa della Madonna della Bruna presenta un carattere comune a tutti gli eventi festivi che si richiamano a una tradizione più o meno lunga e più o meno sedimentata: il configurarsi quale un dato non definito e non definibile una volta per tutte, ma piuttosto come un contenitore caleidoscopico di eventi costituitisi variamente nel tempo, in parte trasmessi da una generazione all’altra, continuativamente prodotto dalle scelte e dalle azioni dei partecipanti. In sostanza essa definisce un contesto performativo, a cui concorrono, a volte confondendosi, una dimensione sacra e una laica, i cui contenuti sono volta a volta interpretabili.

Seguo la festa da oltre vent’anni e nella sua evoluzione, legata al rapido cambiamento dei contesti, sia sul piano locale che su quello più generale, mi è parso evidente che essa si svolga in un tempo/spazio sempre più dilatato, ben oltre i tre macro eventi cerimoniali culminanti nella giornata del 2 luglio, liturgicamente festa della Visitazione e solennemente celebrata a Matera, ma anche in altre città come Enna e Siena: la processione dei pastori, all’alba, quella di metà giornata dalla Cattedrale a Piccianello per la sistemazione delle immagini della Madonna e del Bambino Gesù sul carro, la fase più evocativa dell’episodio evangelico della visita di Maria ad Elisabetta, e quella serale con l’apoteosi finale dello strazzo del carro trionfale recante l’effige della Bruna. Si può dire, non proprio esagerando, che per i materani la festa sia un evento permanente, che s’inizia il 3 luglio e si intensifica con il trascorrere dei mesi, trovando momenti significativi nella individuazione del tema per il carro dell’edizione successiva, nell’assegnazione dell’incarico agli artigiani e/o alle artigiane che dovranno realizzarlo, dando corpo alla propria creatività e alla perizia nella lavorazione della cartapesta, quindi nella realizzazione del carro che sposta per diverse settimane il centro spaziale dell’interesse nella Fabbrica del Carro al rione Piccianello.

La festa della Bruna è una mescolanza di elementi simbolici evocativi di un passato annualmente rivisitato e rimodellato sulla base dei documenti e delle scritture degli storici locali, che hanno il valore di attestare localmente una sorta di autenticità della tradizione, e di atti performativi spiegabili sul piano del qui e dell’ora. Se infatti da una parte il richiamo alla cosiddetta tradizione, che attraverso la scrittura si fa coincidere con la storia, fornisce ai protagonisti della festa, e in generale alla comunità materana, la sensazione di riprodurre la copia conforme di ciò nel passato sarebbe effettivamente avvenuto, dando profondità e solennità a ciò che altrimenti sarebbe del tutto inattuale, dall’altra l’introduzione creativa di elementi funzionali all’interno di un contesto postmoderno garantisce la complessa vitalità degli eventi e il coinvolgimento di nuovi attori, nuovi per appartenenza generazione e nuovi per provenienza extralocale. Di qui, solo per fare un esempio, la contemporanea presenza nella processione di gala dei Cavalieri della Bruna e degli Angeli del Carro, i primi con una funzione più che altro simbolica, i secondi con un ruolo attivo nella protezione del Carro da eventuali assalti anticipati.

Così come emblematica è l’ovvia trasformazione subita nel tempo dalla processione dei pastori, evento di grande importanza nel passato agropastorale della città, quando coloro che vi partecipavano, in modalità silenziosa e ordinata, con atteggiamento pervaso da una devozione di tipo quasi penitenziale, erano gli uomini dediti alla custodia e alla cura degli animali i quali, per le ragioni legate alle loro necessarie attività ordinarie non avrebbero potuto assistere e vivere le altre fasi della festa cittadina. Con gli anni la processione è inevitabilmente e completamente mutata, pur conservando alcuni tratti richiamanti la sua organizzazione originaria, con il mantenimento dell’orario di inizio e svolgimento o la presenza evocativa di un figurante in inattuale veste di pastore e, finanche, di qualche pecora. Già da diversi anni, in realtà, essa risulta del tutto sconnessa dal contesto primigenio, di cui resta essenzialmente il quadro della Madonna intorno al quale solo si può assistere a forme residuali di una devozionalità intimamente emotiva, perché la processione consiste in una autentica esplosione di partecipazione giovanile, senza la distinzione di genere vigente in passato, segnata dall’eccitazione di correre vicino alle batterie di fuochi d’artificio montate ai margini del percorso cerimoniale, sia pure con le limitazioni operate negli ultimi anni per ragioni di sicurezza. Senza andare oltre nei significati rilevabili dall’osservazione dell’evento, è del tutto evidente che quella che nella dimensione della storia sociale e religiosa della città era una fase della festa legata allo status e al sentimento di una parte consistente della popolazione locale, oggi è uno spazio/tempo segnato dalla partecipazione multiforme di nuove generazioni, per le quali i simboli hanno funzione non di rimando alla facies originaria del rituale, ma di appropriazione di sensi di appartenenza comunitaria, espressa in forma concretamente fisica, sulla base di processi di riattivazione della memoria collettiva.

Non mi dilungherò su questo piano in questa breve nota di riflessione, ma evidentemente a uno sguardo antropologico, interessato alla comprensione delle dinamiche contemporanee della festa, non possono sfuggire gli elementi rivelatori dei processi di costruzione della tradizione nei passaggi intergenerazionali e il modo in cui i nuovi protagonisti percepiscono gli elementi fondativi delle diverse fasi rituali in funzione di una condivisione comunitaria e di una relazione stretta tra gli eventi e una interpretazione autoriflessiva della relazione tra sé stessi e la realtà sociale a cui essi sentono in quel momento di essere compartecipi.

Complessivamente, se la partecipazione sul piano devozionale da parte di molti materani ritengo che non possa essere messa in discussione, oggi la Bruna ha subito progressivamente quel processo di patrimonializzazione che ha caratterizzato, negli ultimi trent’anni almeno, molte feste storiche e tradizionali, secondo meccanismi collaudati e ampiamenti studiati e verificati che consistono, innanzitutto, in una normazione della tradizione e nella evidenziazione di quegli elementi che rendono la festa un bene culturale immateriale, rappresentativo di una località e fattore di affermazione di una identità comunitaria e collettiva. E, nel caso delle feste urbane, esse sono considerate in termini patrimoniali come spazi di partecipazione sociale e come depositi di valori culturali nelle loro relazioni con le città e con i loro luoghi densi di storia: beni immateriali, dunque, che concorrono alla definizione e al consolidamento delle identità locali.

Tali condizioni sembrano poter riconoscersi in pieno nella festa della Bruna, a cui alcuni attribuiscono la legittimità di essere percepita come un patrimonio culturale immateriale dal carattere di “unicum”, sintesi complessa, in una evidente continuità storica, testimoniata dalle fonti scritte, di riti istituzionalizzati, miti e simboli di religiosità popolare, aspetti di cultura tradizionale, utile per confermare il valore integrato di una città già patrimonio Unesco quale è Matera.

Così la festa contribuisce anche alla promozione dell’immagine della città e alla sua attrattività sul piano turistico. In questo contesto si spiegano anche l’idea e il progetto di candidare i festeggiamenti in onore di Maria SS. della Bruna come patrimonio immateriale dell’Umanità. Fin qui nulla da dire: Martine Segalen sosteneva già circa venticinque anni fa che «ogni epoca ha i riti che si merita» e la nostra è un’epoca in cui il turismo contribuisce significativamente a rivitalizzare il comune sentimento sociale e a ravvivare i rituali pubblici, accentuando la presa di coscienza del loro valore patrimoniale a livello locale. Ciò che conta è averne piena consapevolezza per poter agire non sugli elementi costitutivi delle feste, ma sulle loro connessioni con il complessivo ambito culturale.

Puruttavia, qualche avvertenza è necessaria sui rischi che la festa può correre in simile contingenza: quello, prima di tutto, di una tendenza alla sua ritradizionalizzazione in senso scenico e spettacolare, attraverso l’eliminazione di fatti e interventi che potrebbero ritenersi di natura spuria, e la sua riduzione a evento rievocativo di una storia e di una tradizione presuntivamente autentiche, con il ricorso all’autorità della scrittura, con la conseguenza di pensare di poter riprodurre quella storia e quella tradizione e di esercitare un controllo sulla creatività che modifica gli eventi e sembra allontanarli dai modelli ritenuti piò o meno fondatamente originari. E invece la festa è il luogo in cui si esercita compiutamente la creatività, è lo spazio non solo di rievocazione del passato ma di rimodellamento dei miti e dei simboli in rapporto alle esigenze contemporanee, è il contesto in cui le esperienze individuali si integrano collettivamente e dove si producono nuovi modelli di relazioni simboliche. Insomma la festa non può che essere patrimonio culturale in movimento, radicato nella continuità della storia ma in uno stato di continua trasformazione col mutare dei contesti sociali e culturali. C’è da auspicare che, nella preparazione del dossier di candidatura, se ne tenga opportunamente conto.

Ferdinando Mirizzi né docente di Antropologia culturale presso l’Università di Basilicata